Questa mattina ci ho provato. La curiosità era così forte che mi sono svegliato senza l’aiuto del tanto odiato suono martellante della sveglia, ore 5.30. Per l’occasione non ho messo le scarpe “buone” ma quelle da battaglia, perché di battaglia si tratta dato che l’obiettivo è quello di conquistare il Forte Richelieu, passando per un sentiero in salita, alle spalle di Genova.
Quando parto per questo tipo di avventure ho sempre la sensazione di fare qualcosa di straordinario ed ho la narcisistica presunzione che la gente che mi vede passare lo sappia e mi guardi con ammirazione, immagino un padre che dice al figlio “vedi, quello è uno che corre per i monti”, immagino gli occhi dei bambini che seguono il mio salire colmi di ammirazione. Ma sono le 5.30 e non c’è nessuno. Anzi, ci sono gli spazzini sul camion che raccolgono rumorosamente la spazzatura. Mi accontento di pensare che mi guardino con ammirazione anche se penso che il dubbio che mi prendano per matto sia più che una sola sensazione.
Per amare la corsa devi amare la fatica, l’una è complemento dell’altra. La corsa non ammette scorciatoie, non ammette finzione, non ammette presunzione e me lo fa capire ogni volta che faccio partire il cronometro. E si, perché anche se ho la fortuna di avere il sentiero vicino a casa questo non vuol dire che non ci sia salita. La montagna è in salita per definizione, in discesa per gli irriducibili ottimisti del bicchiere mezzo pieno. La corsa vede il bicchiere mezzo vuoto, sempre. Il solo kilometro di salita per arrivare all’inizio del sentiero mi fa pentire della scelta fatta ma, come ho scritto prima, se ami la corsa ami la fatica, e di questa se ne trova sempre in abbondanza. La salita in strada è ripida e non voglio saturarmi di acido lattico quindi alterno corsa e camminata veloce. Cinque minuti di sentiero correndo all’andatura per me idonea mi ripagano della fatica fatta per arrivarci. Lo sapevo, me lo ero immaginato parecchie volte, anche la sera prima. Sapevo che correre nel verde, tra i miei monti, vedere l’alba accendere il mare e la città mi avrebbe aperto il cuore mischiando sensazioni di benessere, allegria, commozione e orgoglio. Il forte è lassù, mi guarda quasi schernendo il mio timido tentativo di rappresaglia, sicuro che non lo raggiungerò, non oggi. Il non aver messo la sveglia mi ha fatto accumulare un venti minuti di ritardo rispetto alle solite uscite e la giornata lavorativa esige puntualità. Questi venti minuti mi mettono il dubbio che il Forte possa aver ragione, oggi non ce la farò. Però è lì e io corro, mi arrampico, mi affanno per cosa? non certo per mollare a metà. La sfida è lanciata , decido di dare tutto me stesso per toccare le mura del forte, per fargli capire che sono io il vincitore e che la mia forza di volontà non ha paura delle salite. Più mi avvicino più mi immagino un cambio di atteggiamento da parte del Forte, ora è dalla mia parte, mi incita, ha capito quanto per me sia importante arrivare, raggiungerlo, toccare il mio Everest, lui lo sente, capisce ed è onorato del paragone. Quando raggiungo la cima del sentiero ho un’impellente necessità di toccare le mura, di sentire con le mani il fresco delle pietre non ancora baciate dal sole, di respirare a pieni polmoni quell’aria carica di vittoria e soddisfazione. Mi giro e Genova, sotto di me , è bella, ancora calma ed impaziente di incominciare la giornata, di accogliere le migliaia di persone che , freneticamente, si faranno scivolare addosso l’ennesimo giorno uguale al precedente. Ed io sono lì in vetta circondato dal profumo di ginestra, solo , calmo, soddisfatto, felice di assaporare quella dolce sensazione di appagamento, coccolando i miei occhi con un paesaggio che non smetterà mai di stupirmi.
Per amare la corsa devi amare la fatica, l’una è complemento dell’altra. La corsa non ammette scorciatoie, non ammette finzione, non ammette presunzione e me lo fa capire ogni volta che faccio partire il cronometro. E si, perché anche se ho la fortuna di avere il sentiero vicino a casa questo non vuol dire che non ci sia salita. La montagna è in salita per definizione, in discesa per gli irriducibili ottimisti del bicchiere mezzo pieno. La corsa vede il bicchiere mezzo vuoto, sempre. Il solo kilometro di salita per arrivare all’inizio del sentiero mi fa pentire della scelta fatta ma, come ho scritto prima, se ami la corsa ami la fatica, e di questa se ne trova sempre in abbondanza. La salita in strada è ripida e non voglio saturarmi di acido lattico quindi alterno corsa e camminata veloce. Cinque minuti di sentiero correndo all’andatura per me idonea mi ripagano della fatica fatta per arrivarci. Lo sapevo, me lo ero immaginato parecchie volte, anche la sera prima. Sapevo che correre nel verde, tra i miei monti, vedere l’alba accendere il mare e la città mi avrebbe aperto il cuore mischiando sensazioni di benessere, allegria, commozione e orgoglio. Il forte è lassù, mi guarda quasi schernendo il mio timido tentativo di rappresaglia, sicuro che non lo raggiungerò, non oggi. Il non aver messo la sveglia mi ha fatto accumulare un venti minuti di ritardo rispetto alle solite uscite e la giornata lavorativa esige puntualità. Questi venti minuti mi mettono il dubbio che il Forte possa aver ragione, oggi non ce la farò. Però è lì e io corro, mi arrampico, mi affanno per cosa? non certo per mollare a metà. La sfida è lanciata , decido di dare tutto me stesso per toccare le mura del forte, per fargli capire che sono io il vincitore e che la mia forza di volontà non ha paura delle salite. Più mi avvicino più mi immagino un cambio di atteggiamento da parte del Forte, ora è dalla mia parte, mi incita, ha capito quanto per me sia importante arrivare, raggiungerlo, toccare il mio Everest, lui lo sente, capisce ed è onorato del paragone. Quando raggiungo la cima del sentiero ho un’impellente necessità di toccare le mura, di sentire con le mani il fresco delle pietre non ancora baciate dal sole, di respirare a pieni polmoni quell’aria carica di vittoria e soddisfazione. Mi giro e Genova, sotto di me , è bella, ancora calma ed impaziente di incominciare la giornata, di accogliere le migliaia di persone che , freneticamente, si faranno scivolare addosso l’ennesimo giorno uguale al precedente. Ed io sono lì in vetta circondato dal profumo di ginestra, solo , calmo, soddisfatto, felice di assaporare quella dolce sensazione di appagamento, coccolando i miei occhi con un paesaggio che non smetterà mai di stupirmi.